PERCORSO GEOLOGICO DELL'OCEANO PERDUTO

1 - IL GRANDE GHIACCIAO DI VERRA ERA QUI

2 - LA PIETRA DOLCE

3 - LA RADURA DEI MONUMENTI

4 - LE SENTINELLE NERE

5 - LO SPECCHIO DI FAGLIA

6 - LA ROCCIA TRITURATA

7 - I CRISTALLI DEGLI ABISSI

8 - LE MONTAGNE SI MUOVONO ANCORA

9 - LE SPIAGGE DEI DINOSAURI

10 - BRILLANO GLI ANTICHI FANGHI DELL'OCEANO

11 - I CARBONI SPENTI SOTTO I PIEDI

12 - LA PIETRA COTTA

13 - LA PENTOLA GLACIALE

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  • 2 - LA PIETRA DOLCE

  • 3 - LA RADURA DEI MONUMENTI

  • 4 - LE SENTINELLE NERE

  • 5 - LO SPECCHIO DI FAGLIA

  • 6 - LA ROCCIA TRITURATA

  • 7 - I CRISTALLI DEGLI ABISSI

  • 8 - LE MONTAGNE SI MUOVONO ANCORA

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  • 10 - BRILLANO GLI ANTICHI FANGHI DELL'OCEANO

  • 11 - I CARBONI SPENTI SOTTO I PIEDI

  • 12 - LA PIETRA COTTA

  • 13 - LA PENTOLA GLACIALE

Il vallone delle Cime Bianche (alta Valle d’Ayas) è ancora oggi più che mai legato all’appello del geologo Giorgio Vittorio Dal Piaz, che negli anni ’90 ne invocava la costituzione a “Parco dell’Oceano Perduto” per le sue ricchezze geologiche testimonianti l’antico oceano che sta all’origine di questa parte delle Alpi. Sono, infatti, tipici del vallone delle Cime Bianche:

a) la completezza dei vari elementi costituenti il fondo oceanico (serpentiniti del mantello, antichi gabbri e basalti della crosta oceanica, antichi sedimenti) in uno spazio raccolto e ben delimitato;

b) la loro distribuzione a tre livelli ben distinti: dal basso la litosfera oceanica profonda, al livello superiore la crosta di origine magmatica, e ancora al di sopra, separata dal margine lagunare delle Cime Bianche, la successione oceanica prevalentemente di origine sedimentaria (Roisetta, Tournalin);

c) la chiarezza delle varie associazioni mineralogiche nelle rocce, che illustrano sia le fasi di massima profondità (eclogiti, rocce a granato e giadeite), sia le successive fasi di risalita in superficie (in particolare la cosiddetta pietra ollare).

Questa situazione va considerata un unicum perché in nessun altro luogo delle Alpi sono presenti contemporaneamente tutte e tre queste caratteristiche.

Nella visita al vallone, al riconoscimento dell’antico oceano si aggiungono sorprendenti informazioni sull’attività geologica recente, sia in campo geodinamico (evidenti movimenti del terreno guidati dalle forze profonde della Terra), sia in campo glaciologico.

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5 - LO SPECCHIO DI FAGLIA

6 - LA ROCCIA TRITURATA

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8 - LE MONTAGNE SI MUOVONO ANCORA

9 - LE SPIAGGE DEI DINOSAURI

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11 - I CARBONI SPENTI SOTTO I PIEDI

12 - LA PIETRA COTTA

13 - LA PENTOLA GLACIALE

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  • 12 - LA PIETRA COTTA

  • 13 - LA PENTOLA GLACIALE

Il vallone delle Cime Bianche (alta Valle d’Ayas) è ancora oggi più che mai legato all’appello del geologo Giorgio Vittorio Dal Piaz, che negli anni ’90 ne invocava la costituzione a “Parco dell’Oceano Perduto” per le sue ricchezze geologiche testimonianti l’antico oceano che sta all’origine di questa parte delle Alpi. Sono, infatti, tipici del vallone delle Cime Bianche:

a) la completezza dei vari elementi costituenti il fondo oceanico (serpentiniti del mantello, antichi gabbri e basalti della crosta oceanica, antichi sedimenti) in uno spazio raccolto e ben delimitato;

b) la loro distribuzione a tre livelli ben distinti: dal basso la litosfera oceanica profonda, al livello superiore la crosta di origine magmatica, e ancora al di sopra, separata dal margine lagunare delle Cime Bianche, la successione oceanica prevalentemente di origine sedimentaria (Roisetta, Tournalin);

c) la chiarezza delle varie associazioni mineralogiche nelle rocce, che illustrano sia le fasi di massima profondità (eclogiti, rocce a granato e giadeite), sia le successive fasi di risalita in superficie (in particolare la cosiddetta pietra ollare).

Questa situazione va considerata un unicum perché in nessun altro luogo delle Alpi sono presenti contemporaneamente tutte e tre queste caratteristiche.

Nella visita al vallone, al riconoscimento dell’antico oceano si aggiungono sorprendenti informazioni sull’attività geologica recente, sia in campo geodinamico (evidenti movimenti del terreno guidati dalle forze profonde della Terra), sia in campo glaciologico.

DATI TECNICI

  • ACCESSORI CONSIGLIATI: lente d’ingrandimento e piccola calamita

  • PARTENZA: Piazzetta di Saint-Jacques (m 1685)

  • ARRIVO: Alpe Vardaz (m 2335)

  • SEGNAVIA: 8, s.n., 8E, TMR, 6; 8E

  • DIFFICOLTA': (E) Facile

  • DISLIVELLO: 650 m

  • LUNGHEZZA: 9400 m

  • TEMPO DI PERCORRENZA IN SALITA: 2h30'

  • TEMPO DI PERCORRENZA IN DISCESA: 2h

INFORMAZIONI UTILI

Come raggiungere il punto di partenza

Dall’uscita autostradale di Verrès si risale la strada regionale 45 della Val d’Ayas. Si superano gli abitati di Challand-Saint-Victor, Challand-Saint-Anselme e Brusson sino a raggiungere il Comune di Ayas.

Attraversato il centro di Champoluc si raggiunge Saint-Jacques des Allemands dove è possibile parcheggiare l’auto nella piazzetta antistante la piccola chiesa.

Nel periodo estivo (normalmente nei mesi di luglio e agosto), nell’ultimo tratto il traffico è limitato ed è necessario lasciare l’auto nel grande parcheggio di Frachey (partenza della funicolare) e proseguire utilizzando la navetta.
Se s’intende utilizzare il trasporto pubblico è presente l’autobus di linea da Verrès a Saint-Jacques.

Per informazioni: http://www.vitagroup.it/linee-urbane-extra-vda

Useful Information

DESCRIZIONE DEL PERCORSO GEOLOGICO

Dalla piazza di Saint-Jacques si prosegue lungo la strada asfaltata che costeggia il torrente Evançon, e dopo un tratto ripido si raggiunge un’edicola votiva. Non si deve deviare a sinistra ma proseguire sempre lungo il torrente. Poco più avanti, alla fine della strada carrozzabile, si attraversa il ponte: qui inizia un’erta gradinata che porta a varcare il torrente di Tsère e a iniziare il percorso verso Fiéry, lastricato fino al bosco. All’inizio del bosco, sulla sinistra in una piccola radura un pannello spiega la produzione di carbone da legna.

STOP 1 - IL GRANDE GHIACCIAIO DI VERRA ERA QUI

Il bosco copre una distesa di massi tra cui è faticosamente tracciata la grande mulattiera. Come riconoscere un deposito glaciale: origine dei blocchi da dove proveniva l’antico ghiacciaio, smussatura degli spigoli, grande varietà nella dimensione dei blocchi, discreta quantità di limo fra le pietre. A fianco su una piazzola erbosa un pannello spiega che lì si ricavava carbone da legna per usi industriali.

Si percorre la mulattiera (molto scivolosa se bagnata) fin quasi al bivio per Fiéry (in lontananza si vede la palina con l’indicazione). A questo punto si lascia la mulattiera e si seguono tracce pianeggianti, segnalate con ometti, che conducono al costone dove il versante scende ripido al torrente di Verra, sino a raggiungere un grande roccione in bilico sul crinale, al cui riparo sta appoggiata una lastra di pietra ollare con incisioni.

STOP 1 | SCOPRI DI PIU'

La larga mulattiera, ramificata in diverse brevi varianti, risale faticosamente il versante cercando la direzione migliore in un terreno a prevalenza di “scheletro”, cioè di blocchi rocciosi che qui sono di tutte le dimensioni, da vari metri a pochi centimetri, in totale mescolanza. I blocchi si presentano con spigoli leggermente smussati, e appartengono in prevalenza alla specie di roccia che affiora sulle pareti che sovrastano il Pian di Verra, la serpentinite: una roccia scura, bluastra e scivolosa sotto i piedi. Tanto basta per attribuire questo terreno alla morena lasciata dall’antico ghiacciaio di Verra, che scendeva lungo tutta la vallata. Il bosco di larici è riuscito a crescere su questo magro terreno, e nessuno ha mai cercato di sloggiarlo per fare prati o campi (salvo in minuscoli terrazzamenti e in piccole aree con apporti alluvionali).

STOP 2 - LA PIETRA DOLCE

La pietra ollare valdostana (pera douça In patois) è a base di clorite, minerale a foglietti Verde-grigio, derivante da antiche colate di lava basaltica sulle piane abissali dell’oceano alpino.

Si ritorna sui propri passi sino alla mulattiera, la si segue per un breve tratto sino a trovare, a sinistra, il bivio per Fiéry. In breve si raggiunge la piccola frazione di Fiéry, con il suo grande albergo di fine Ottocento dove ancora si respira l’aria di un tempo (da notare il forno e la vecchia segnaletica). Si prosegue oltre le case sino ad arrivare a un ponticello, che non va attraversato, per continuare sulla destra nel bosco di larici tra muri di sostegno e delimitazione degli appezzamenti, testimonianze del fatto che in passato lì si coltivava. Dove la dorsale si fa più evidente, guardando a sinistra, dall’altra parte del torrente, si vede una bella radura con grandi massi dalle forme geometriche. Ci si arriva prendendo la prima deviazione verso sinistra, e attraversando il torrente di Tsère su due tronchi affiancati.

STOP 2 | SCOPRI DI PIU'

Eccoci al grande roccione in bilico sul crinale che dà sul torrente. Non è chiaro come questo masso di serpentinite sia giunto fin lì; ma fra le varie cose curiose del luogo c’è una bella lastra di pietra ollare esposta sotto al masso, sul lato a monte. Diverse incisioni figurano sulla lastra, di cui la più significativa sembra essere il limite catastale sulla destra. La produzione di manufatti (recipienti, stufe, suppellettili) in pietra ollare è ben attestata in Valle d’Aosta soprattutto a partire dal VI secolo d.C.  A Saint-Jacques grandi accumuli di scarti di tornio in pietra ollare attestano una vivace produzione di recipienti. Ancora da identificare con certezza le cave e i laboratori.

STOP 3 - LA RADURA DEI MONUMENTI

La spianata è formata da sedimenti fini portati dal torrente di tsère che qui trova un brusco arresto (il cordone morenico laterale dell’antico ghiacciaio di verra) alla sua discesa verso il fondovalle. Nella verde radura spiccano grossi blocchi di roccia caduti dalle pareti circostanti, dove gli scalatori si cimentano su pareti verticali.

Si prosegue sulla dorsale fino a raggiungere il sentiero che proviene dal Pian di Verra, lo si segue in mezzacosta a sinistra sino a raggiungere scure pareti verticali, spesso gocciolanti.

STOP 3 | SCOPRI DI PIU'

Il sentiero non segnalato, che costeggia il torrente pianeggiante e poi risale una dorsale, rivela incredibili opere di spietramento, terrazzamento e sostegno per la conquista di qualche metro quadrato di erba. E, in effetti, lo spietramento qui è opera titanica, in quanto la dorsale non è altro che il cordone laterale destro depositato dall’antico ghiacciaio di Verra, praticamente una muraglia di sassi. Questa stessa muraglia costringe il torrente di Tsère a scorrere sospeso a lato del vallone in un corridoio fra il versante e la morena: potrà congiungersi con l’Evançon solo giù a Blanchard.
Ma il corridoio col torrente che scorre a mezza costa, alla nostra sinistra, si rivela molto accogliente: lungo il suo percorso si depositano detriti fini che occasionalmente si distendono in verdi spianate più o meno umide. Sulla spianata erbosa più ampia, a monte del corridoio, spiccano alcuni grandi blocchi di pietra dalle regolari forme geometriche che fanno la gioia dei ragazzini in vena di bouldering. Ci si arriva prendendo la prima deviazione verso sinistra, e attraversando il torrente di Tsère su due tronchi affiancati.

STOP 4 - LE SENTINELLE NERE

La roccia appare scandita in grandi diedri verticali. Alla prova della calamita, la roccia risulta ricca di magnetite. Siamo nel “fondo del fondo” dell’oceano giurassico risalente ai 170/150 milioni di anni fa. La roccia è serpentinite, direttamente derivata dalla roccia (peridotite) che costituisce la parte più profonda del pianeta terra.

In pochi minuti si raggiunge l’ampio spiazzo chiamato “belvedere”, da cui si può ammirare l’intero versante della sinistra orografica del territorio del comune di Ayas (area degli insediamenti Walser) e parte del fondovalle. Si prosegue adesso su un tratto di tracciato costituito da grandi scalini artificiali di pietra che costeggiano la discesa vorticosa del torrente, sino a raggiungere l’inizio del Pian di Tsère. Si costeggia il corso ora placido e sinuoso del torrente che delimita il bellissimo pianoro, fino al termine. Si attraversa un ponticello in direzione della scura parete rocciosa.

STOP 4 | SCOPRI DI PIU'

Sul sentiero 8E che sale deciso verso la Comba di Tsère incontriamo finalmente quello che conta per un geologo strutturale: la roccia in posto (altrimenti detta roccia affiorante). Essa appare in modo scenografico con una successione di alti diedri lisci di roccia nera, risultanti da fratture verticali che scandiscono la parete ad intervalli regolari. Il colore nero deriva in parte da patine di alterazione (ossido di manganese?), ma la roccia è comunque scura perché ricca in ferro, in particolare magnetite, come si può constatare con una calamita. Si tratta di serpentinite (silicato idrato di magnesio più magnetite), roccia che abbiamo già trovato come deposito glaciale sulla mulattiera per Fiéry e come detrito di falda alla Valletta Amena. La serpentinite si forma sotto al fondo degli oceani a partire dalla roccia che sta ancora più giù, la peridotite di cui è fatto tutto il mantello terrestre (l’immensa sfera di roccia che sta sotto la crosta terrestre). Stiamo infatti iniziando una traversata dell’antica crosta oceanica che occupava al Giurassico (150 milioni di anni fa) lo spazio alpino e che troviamo ora magnificamente rappresentata nei valloni delle Cime Bianche.

STOP 5 - LO SPECCHIO DI FAGLIA

La grande parete piatta e molto inclinata brilla al sole, soprattutto se bagnata. Anche qui roccia nerissima di magnetite. La roccia risulta lisciata a specchio in seguito al violento distacco dal piastrone ora sprofondato alla base del Plan de Tsère, che originariamente vi era attaccato.

Alla fine del pianoro il sentiero sale inizialmente sulla destra della valletta sino a incontrare un fondo assai friabile.

STOP 5 | SCOPRI DI PIU'

Al pian di Tsère, fin dall’inizio lo sguardo è attirato dalla poderosa sfilata di rocce a specchio che chiude il piano verso monte: lisce pareti nere, allineate, piane e molto inclinate, che s’infilano nell’erba. Anche qui, con una calamita, verifichiamo che si tratta di serpentiniti, ma in questo caso ci danno un’informazione in più. Quelle pareti sono lisce a seguito di una frattura con sprofondamento della massa rocciosa che vi era originariamente unita, uno scorrimento istantaneo e presumibilmente lungo quanto l’altezza delle pareti stesse. Così, dove prima vi era continuità della roccia si creò una depressione poi riempita di ciottoli e terra. Questa è l’origine del Plan de Tsère, ma la sua età è abbastanza incerta. Infatti la superficie a specchio sembra esposta agli agenti atmosferici solo da poco tempo (dopo la deglaciazione), ma il cedimento potrebbe essere avvenuto assai prima a debole profondità.

STOP 6 - LA ROCCIA TRITURATA

A metà salita si cammina su friabili rocce che si sfaldano in mille scagliette azzurrine. Siamo al tetto (all’estremità superiore) del gran corpo di rocce nere e magnetiche, Le serpentiniti, su cui abbiamo camminato finora. Il contatto e lo sfregamento con le altre rocce che vedremo più sopra rende scistose e laminate le nostre serpentiniti.

Si prosegue sino al colletto, lasciando sulla destra la deviazione per il Palon di Tsère e il bivacco Città di Mariano, per arrivare al culmine dell’itinerario geologico. Soffermiamoci nel punto più elevato, indicato con un ometto, in vista dell’alpe Varda e al bordo di un solco che il sentiero discende e risale.

STOP 6 | SCOPRI DI PIU'

Il sentiero TMR (Tour du Mont Rose) percorre tutto il pianoro fino ad attraversare il torrente passando davanti agli specchi neri e prende a salire la dorsale che delimita il vallone di Tsère. A metà salita ci si trova a camminare su una fascia di rocce azzurrine completamente sbriciolate. Fatta qualche prova con la lente e la calamita, riconosciamo a stento le serpentiniti di Tsère: le poverine verso l’alto vengono laminate (“stropicciate”) dalle metabasiti che nella crosta oceanica stanno al livello immediatamente superiore. Non vediamo ancora affiorare le metabasiti, nascoste da un intermezzo detritico, ma ne possiamo già riconoscere alcune fra i massi sparsi nell’erba. A queste rocce la calamita non si attacca.

STOP 7 - I CRISTALLI DEGLI ABISSI

Proprio sulla dorsalina erbosa affiorano rocce listate con piccoli cristalli verdi, rossi e bianchi: sono gli assemblaggi delle Alte pressioni, cioè delle grandi profondità sotto terra, che svelano come sono nate le Alpi. Siamo sempre nel fondo oceanico, ma ad un livello superiore rispetto alle serpentiniti di Tsère.

Appena a fianco delle rocce listate, scorre un regolare solco roccioso lungo il vallone.

STOP 7 | SCOPRI DI PIU'

I fondi oceanici sono, e sono sempre stati, molto attivi geologicamente: le placche vi si muovono veloci, i magmi si intrudono abbondanti nella crosta oceanica o eruttano sul fondo del mare. Dall’Alpe Varda in poi le nostre rocce riproducono nella loro globalità la composizione chimica di quei magmi oceanici: silicati di ferro e magnesio, con una parte di altri silicati più sensibili al calore (di calcio, sodio, alluminio). Ma c’è un problema: i minerali non sono più gli stessi. Tra il fondo oceanico (150 milioni di anni fa) e le montagne attuali i magmi sono passati per uno sprofondamento spettacolare (45 milioni di anni fa) della loro placca oceanica, che ha fatto collassare i minerali basaltici originari trasformandoli in minerali di alta pressione. Per il restringimento dello spazio fra i continenti, la placca oceanica è infatti passata in subduzione sotto alla placca continentale africana, trovandosi quindi a profondità (pressioni) insostenibili per i minerali magmatici originari. Tutto ciò che troviamo adesso in superficie reca le tracce di questo passaggio in profondità. Per questo le nostre rocce non si chiamano basalti o gabbri (rocce magmatiche) ma metabasiti (rocce metamorfiche).
Le metabasiti che troviamo in questo livello intermedio sono per lo più rugginose e poco leggibili. Solo in alcuni punti, ad esempio sul colmo della dorsalina erbosa di fronte all’Alpe Varda, lo spacco fresco lascia intravedere piccoli cristallini verdi (onfacite), rossi (granato) e bianchi (zoisite?) provenienti direttamente dalle viscere della Terra (si formano solo oltre 60 km di profondità).

STOP 8 - LE MONTAGNE SI MUOVONO ANCORA

I due bordi del solco erano uniti e si sono staccati per lo stiracchiamento” del terreno a causa dell’innalzamento recente del Monte Rosa. La torbiera e il vallone tutto derivano da questi movimenti che possono essere datati a partire da circa 35 milioni di anni fa.

Si attraversa verso sinistra e si raggiunge il sentiero principale del Vallone delle Cime Bianche, al bivio che ritroveremo nella discesa, si prosegue in piano a destra per un centinaio di metri per raggiungere i ruderi del fabbricato di Varda, (probabile magazzino per gli itinerari commerciali che percorrevano il vallone delle Cime Bianche verso la Svizzera). Di fronte a noi emergono sorprendenti le tre Cime Bianche (Gran Sometta, Bec Carré e Pointe Sud) e appare ben visibile la fascia bianca che percorre le pareti ad ovest (dal Grand Tournalin alla Roisetta).

STOP 8 | SCOPRI DI PIU'

Un solco rettilineo, a pareti verticali, percorre il versante mettendo a nudo la roccia. Costantemente largo quasi una decina di metri, profondo un po’ meno, scende di sbieco lungo il Palon di Tsère, entra e poi esce dalla torbiera dell’Alpe Varda. Lo attraversiamo sul sentiero con una discesina e una piccola risalita prima di immetterci a sinistra nel gran sentiero n. 6 dell’Aventine. Si tratta di uno strappo profondo del terreno, con frattura e dislocazione della massa rocciosa, che rivela la tensione cui è stato sottoposto il vallone delle Cime Bianche in seguito agli ultimi movimenti orogenetici. Si può dire infatti che l’intero vallone, nelle sue suddivisioni di Tsère, Aventine e Courtod, è frutto dello stiramento crostale dovuto al sollevamento del contiguo Monte Rosa. Osserviamo bene questi ed altri indizi di attività profonda: ci sembra utile per l’umanità capire cosa sta facendo il nostro Pianeta, e ciò lo vediamo sulle nostre montagne.

STOP 9 - LE SPIAGGE DEI DINOSAURI

Il ripido versante destro del vallone è tagliato a mezza costa da una fascia bianca: sono le antiche lagune salate e le spiagge che guardavano l’oceano che si formava. Sopra stanno mucchi di sedimenti fangosi dell’antico oceano (tournalin, roisetta).

Dopo una pausa per godere dello straordinario paesaggio, inizia la discesa. Ritornati al bivio precedente, si cambia percorso scendendo per ampi pascoli. Qui notiamo alcuni massi erratici e, sulla sinistra, i segni di un antico rù (rivo irriguo). Appena prima di attraversare il piccolo ruscello proveniente dalla grande torbiera di Varda, fra le metabasiti, qua e là affiorano rocce più friabili che fanno piccole isole di suolo polveroso. Sono “spruzzi” di antichi fanghi oceanici.

STOP 9 | SCOPRI DI PIU'

Fatta una puntatina andata/ritorno ai ruderi dell’Alpe Varda, ci rivolgiamo alla grande parete destra (ovest) del vallone, spettacolarmente tagliata a mezza costa dalla fascia chiara delle Cime Bianche.
In realtà la fascia bianca ha poco a che fare con il nostro antico oceano. Essa rappresenta le lagune che, sulle immense spiagge del supercontinente Pangea (250 milioni di anni fa), precedettero l’apertura dell’oceano, con le loro sabbie, i loro sali da evaporazione, le loro barriere coralline. Epoca e contesto sono gli stessi delle Dolomiti; ma qui poi tutto è stato sbriciolato e maciullato durante l’orogenesi alpina, per cui non si trovano fossili.
La fascia bianca separa anche il livello intermedio della crosta oceanica, su cui siamo attualmente, dal livello superiore affiorante in alto. Al di sopra della fascia bianca infatti troviamo una falda per lo più composta di calcescisti, rocce derivanti da sedimenti fangosi e calcarei di alto mare. Di calcescisti, con qualche incluso di metabasiti e ancor meno serpentiniti, sono fatti il Tournalin e la Roisetta che ci sovrastano.

STOP 10 - BRILLANO GLI ANTICHI FANGHI DELL’OCEANO

A fianco del tratto di sentiero polveroso, alcune pietre sui lati mostrano cristallini scuri in rilievo come una grattugia. 150 milioni di anni fa uno spruzzo di fango oceanico (argilla, calcare) si è insinuato fra le colate di magma basaltico, poi è sprofondato in subduzione come tutto il resto della placca oceanica. Ne è uscito con mica ferrifera di alta pressione che brilla sul sentiero, e con granati a volte limpidi che occhieggiano sui sassi.

Scendiamo poi ripidi tornanti fino all’alpe Ventina. Superati i ruderi degli alpeggi e affrontata una nuova discesa, si raggiunge un piccolo pianoro, dove si scorge sulla destra una postazione meteo. A questo punto il nostro percorso devia decisamente verso destra, costeggia l’Alpe Djomein e raggiunge il vallone del Courtod, attraversando il ponticello sull’omonimo torrente e proseguendo in piano sino a raggiungere il sentiero che scende nel vallone. Il sentiero, posto nella destra orografica, attraversa un ripido pendio boscoso e passa sullo spiazzo di un’antica carbonaia.

STOP 10 | SCOPRI DI PIU'

Sulla costa sassosa che scende all’Alpe Ventina il sentiero si fa d’un tratto polveroso e luccicante, mentre alcune pietre sui lati mostrano cristallini scuri in rilievo come una grattugia. 150 milioni di anni fa uno spruzzo di fango oceanico (argilla, calcare) si è insinuato fra le colate di magma basaltico, poi è sprofondato in subduzione come tutto il resto della placca oceanica. Ne è uscito con mica ferrifera di alta pressione che brilla sul sentiero, e con granati a volte limpidi che occhieggiano sui sassi.

STOP 11 - I CARBONI SPENTI SOTTO I PIEDI

Verso la fine del tratto pianeggiante e Sovente fangoso del sentiero che scende Dall’alpe courtod si cammina su uno slargo Il cui fondo è costituito dai residui di carbone Di legna ancor ben riconoscibili dalla Pezzatura e dal colore nero.

Un piccolo tratto e, nel punto in cui il sentiero riprende a scendere, si raggiunge la zona della fornace (un po’ prima si vedono pezzi della bianca roccia calcarea che veniva usata per ottenere la calce).

STOP 11 | SCOPRI DI PIU'

Fra i prodotti del bosco, uno dei più ricercati, soprattutto a partire dal XVII secolo, era il carbone di legna, usato prevalentemente nella metallurgia. Si produceva in piazzole appositamente attrezzate nei boschi, mediante accumuli conici di legname opportunamente disposto in modo da trasformare, mediante il calore di un fuoco senza fiamma, la legna in carbone. L’operazione necessitava circa due settimane di cottura, e altrettante di preparazione e raffreddamento, durante le quali i carbonai lavoravano in coppia, per poter sempre intervenire in caso il fuoco divampasse distruggendo la carbonaia. Tra metà Seicento e fine Ottocento numerose disposizioni delle Comunità locali, del Conseil des Commis e della Corte sabauda cercarono di regolamentare la produzione del carbone vegetale per preservare i boschi ritenuti indispensabili (alimentazione e protezione del suolo) e, d’altra parte, per venire incontro agli interessi della produzione (proprietari dei boschi, industriali metallurgici e loro clienti, tra cui l’Arsenale sabaudo).

STOP 12 - LA PIETRA COTTA

Un pannello illustra le modalità di funzionamento della fornace per ricavare la calce dalla cottura dei blocchi di calcare presenti in abbondanza in zona. Lo spuntone roccioso che si erge in alto in direzione della fornace, sotto il Monte Croce (o brun), si chiama Mont de la Tchas (calce).

Il sentiero adesso scende sulla destra, attraversa una bella radura per poi deviare decisamente a sinistra in una conca erbosa (palina segnaletica), si immerge nel bosco fino quasi a costeggiare il torrente. Nel punto in cui il sentiero si avvicina di più alla riva del torrente, appena prima delle pareti rocciose, chiodate per l’arrampicata, sulla destra verso il pendio si scorge un affioramento di serpentinite a livello del terreno (ometto nei pressi).

STOP 12 | SCOPRI DI PIU'

La riva boscata accanto al torrente su cui camminiamo è costituita da detrito in blocchi, in genere di piccola taglia, caduti dalla parete sovrastante e in particolare dalle parti più elevate: calcescisti e fascia bianca. Questa disponibilità di materiale calcareo, unitamente al legname del bosco, deve aver suggerito l’installazione di un forno da calce, ora degnamente illustrato da un grande pannello posto sul sentiero.

STOP 13 - LA PENTOLA GLACIALE

La marmitta è del tipo cilindrico stretto, profondo e ad asse verticale. Enigmatiche restano queste forme di erosione, che necessitano di energie relativamente elevate (non certo il sassolino che gira tranquillo sul fondo…) e tempi relativamente brevi di realizzazione. Viene naturale riferirne la genesi all’ambiente glaciale, supponendo pozzi sotto pressione nello spessore della massa di ghiaccio sovrastante. Ma i modelli ipotizzati finora non sembrano granché soddisfacenti…

Con un ultimo piccolo tratto in discesa si raggiunge la strada poderale che conduce nel Vallone di Nana, fino a incontrare poco dopo la strada asfaltata. Si passa a fianco di un atelier di falegnameria e si prosegue fino ad un bivio posto appena prima del ponte sull’Evançon (che proprio in questo punto prende il suo corso, frutto dell’unione in un breve tratto dei torrenti di Verra, di Tsère e Courtod). Seguendo la strada di destra che conduce alle case di Pelioz, da queste per bella mulattiera si raggiunge in pochi minuti la strada affrontata in salita e la piazzetta di Saint-Jacques dove termina la nostra escursione geologica.

STOP 13 | SCOPRI DI PIU'

Ridivenuto sentiero l’8E, si scende fino alla quota 1800 m accanto ad enormi massi (metabasiti) crollati in una zona umida e scoscesa, quasi una forra. Sulla nostra destra, assai discreta, affiora una serpentinite fra erbe, muschi ed arbusti. La superficie rocciosa, liscia e umida, è inclinata parallelamente al pendio con un’ampia canaletta a grondaia. In alto, la canaletta esce da una cavità cilindrica verticale larga circa 40 centimetri e profonda almeno mezzo metro sul lato dello sfioramento, e oltre un metro sul lato a monte. Poco detrito giace sul fondo, e la cosa è intrigante: come mai un buco fra l’erba non si riempie di terra?
Enigmatiche restano queste forme di erosione, che necessitano di energie relativamente elevate (non certo il sassolino che gira tranquillo sul fondo…) e tempi relativamente brevi di realizzazione. Viene naturale riferirne la genesi all’ambiente glaciale, supponendo pozzi sotto pressione nello spessore della massa di ghiaccio sovrastante. Ma i modelli ipotizzati finora sembrano piuttosto improbabili…

STOP 1 - IL GRANDE GHIACCIAIO DI VERRA ERA QUI

Il bosco copre una distesa di massi tra cui è faticosamente tracciata la grande mulattiera. Come riconoscere un deposito glaciale: origine dei blocchi da dove proveniva l’antico ghiacciaio, smussatura degli spigoli, grande varietà nella dimensione dei blocchi, discreta quantità di limo fra le pietre. A fianco su una piazzola erbosa un pannello spiega che lì si ricavava carbone da legna per usi industriali.

Si percorre la mulattiera (molto scivolosa se bagnata) fin quasi al bivio per Fiéry (in lontananza si vede la palina con l’indicazione). A questo punto si lascia la mulattiera e si seguono tracce pianeggianti, segnalate con ometti, che conducono al costone dove il versante scende ripido al torrente di Verra, sino a raggiungere un grande roccione in bilico sul crinale, al cui riparo sta appoggiata una lastra di pietra ollare con incisioni.

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La larga mulattiera, ramificata in diverse brevi varianti, risale faticosamente il versante cercando la direzione migliore in un terreno a prevalenza di “scheletro”, cioè di blocchi rocciosi che qui sono di tutte le dimensioni, da vari metri a pochi centimetri, in totale mescolanza. I blocchi si presentano con spigoli leggermente smussati, e appartengono in prevalenza alla specie di roccia che affiora sulle pareti che sovrastano il Pian di Verra, la serpentinite: una roccia scura, bluastra e scivolosa sotto i piedi. Tanto basta per attribuire questo terreno alla morena lasciata dall’antico ghiacciaio di Verra, che scendeva lungo tutta la vallata. Il bosco di larici è riuscito a crescere su questo magro terreno, e nessuno ha mai cercato di sloggiarlo per fare prati o campi (salvo in minuscoli terrazzamenti e in piccole aree con apporti alluvionali).

STOP 2 - LA PIETRA DOLCE

La pietra ollare valdostana (pera douça In patois) è a base di clorite, minerale a foglietti Verde-grigio, derivante da antiche colate di lava basaltica sulle piane abissali dell’oceano alpino.

Si ritorna sui propri passi sino alla mulattiera, la si segue per un breve tratto sino a trovare, a sinistra, il bivio per Fiéry. In breve si raggiunge la piccola frazione di Fiéry, con il suo grande albergo di fine Ottocento dove ancora si respira l’aria di un tempo (da notare il forno e la vecchia segnaletica). Si prosegue oltre le case sino ad arrivare a un ponticello, che non va attraversato, per continuare sulla destra nel bosco di larici tra muri di sostegno e delimitazione degli appezzamenti, testimonianze del fatto che in passato lì si coltivava. Dove la dorsale si fa più evidente, guardando a sinistra, dall’altra parte del torrente, si vede una bella radura con grandi massi dalle forme geometriche. Ci si arriva prendendo la prima deviazione verso sinistra, e attraversando il torrente di Tsère su due tronchi affiancati.

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Eccoci al grande roccione in bilico sul crinale che dà sul torrente. Non è chiaro come questo masso di serpentinite sia giunto fin lì; ma fra le varie cose curiose del luogo c’è una bella lastra di pietra ollare esposta sotto al masso, sul lato a monte. Diverse incisioni figurano sulla lastra, di cui la più significativa sembra essere il limite catastale sulla destra. La produzione di manufatti (recipienti, stufe, suppellettili) in pietra ollare è ben attestata in Valle d’Aosta soprattutto a partire dal VI secolo d.C.  A Saint-Jacques grandi accumuli di scarti di tornio in pietra ollare attestano una vivace produzione di recipienti. Ancora da identificare con certezza le cave e i laboratori.

STOP 3 - LA RADURA DEI MONUMENTI

La spianata è formata da sedimenti fini portati dal torrente di tsère che qui trova un brusco arresto (il cordone morenico laterale dell’antico ghiacciaio di verra) alla sua discesa verso il fondovalle. Nella verde radura spiccano grossi blocchi di roccia caduti dalle pareti circostanti, dove gli scalatori si cimentano su pareti verticali.

Si prosegue sulla dorsale fino a raggiungere il sentiero che proviene dal Pian di Verra, lo si segue in mezzacosta a sinistra sino a raggiungere scure pareti verticali, spesso gocciolanti.

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Il sentiero non segnalato, che costeggia il torrente pianeggiante e poi risale una dorsale, rivela incredibili opere di spietramento, terrazzamento e sostegno per la conquista di qualche metro quadrato di erba. E, in effetti, lo spietramento qui è opera titanica, in quanto la dorsale non è altro che il cordone laterale destro depositato dall’antico ghiacciaio di Verra, praticamente una muraglia di sassi. Questa stessa muraglia costringe il torrente di Tsère a scorrere sospeso a lato del vallone in un corridoio fra il versante e la morena: potrà congiungersi con l’Evançon solo giù a Blanchard.
Ma il corridoio col torrente che scorre a mezza costa, alla nostra sinistra, si rivela molto accogliente: lungo il suo percorso si depositano detriti fini che occasionalmente si distendono in verdi spianate più o meno umide. Sulla spianata erbosa più ampia, a monte del corridoio, spiccano alcuni grandi blocchi di pietra dalle regolari forme geometriche che fanno la gioia dei ragazzini in vena di bouldering. Ci si arriva prendendo la prima deviazione verso sinistra, e attraversando il torrente di Tsère su due tronchi affiancati.

STOP 4 - LE SENTINELLE NERE

La roccia appare scandita in grandi diedri verticali. Alla prova della calamita, la roccia risulta ricca di magnetite. Siamo nel “fondo del fondo” dell’oceano giurassico risalente ai 170/150 milioni di anni fa. La roccia è serpentinite, direttamente derivata dalla roccia (peridotite) che costituisce la parte più profonda del pianeta terra.

In pochi minuti si raggiunge l’ampio spiazzo chiamato “belvedere”, da cui si può ammirare l’intero versante della sinistra orografica del territorio del comune di Ayas (area degli insediamenti Walser) e parte del fondovalle. Si prosegue adesso su un tratto di tracciato costituito da grandi scalini artificiali di pietra che costeggiano la discesa vorticosa del torrente, sino a raggiungere l’inizio del Pian di Tsère. Si costeggia il corso ora placido e sinuoso del torrente che delimita il bellissimo pianoro, fino al termine. Si attraversa un ponticello in direzione della scura parete rocciosa.

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Sul sentiero 8E che sale deciso verso la Comba di Tsère incontriamo finalmente quello che conta per un geologo strutturale: la roccia in posto (altrimenti detta roccia affiorante). Essa appare in modo scenografico con una successione di alti diedri lisci di roccia nera, risultanti da fratture verticali che scandiscono la parete ad intervalli regolari. Il colore nero deriva in parte da patine di alterazione (ossido di manganese?), ma la roccia è comunque scura perché ricca in ferro, in particolare magnetite, come si può constatare con una calamita. Si tratta di serpentinite (silicato idrato di magnesio più magnetite), roccia che abbiamo già trovato come deposito glaciale sulla mulattiera per Fiéry e come detrito di falda alla Valletta Amena. La serpentinite si forma sotto al fondo degli oceani a partire dalla roccia che sta ancora più giù, la peridotite di cui è fatto tutto il mantello terrestre (l’immensa sfera di roccia che sta sotto la crosta terrestre). Stiamo infatti iniziando una traversata dell’antica crosta oceanica che occupava al Giurassico (150 milioni di anni fa) lo spazio alpino e che troviamo ora magnificamente rappresentata nei valloni delle Cime Bianche.

STOP 5 - LO SPECCHIO DI FAGLIA

La grande parete piatta e molto inclinata brilla al sole, soprattutto se bagnata. Anche qui roccia nerissima di magnetite. La roccia risulta lisciata a specchio in seguito al violento distacco dal piastrone ora sprofondato alla base del Plan de Tsère, che originariamente vi era attaccato.

Alla fine del pianoro il sentiero sale inizialmente sulla destra della valletta sino a incontrare un fondo assai friabile.

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Al pian di Tsère, fin dall’inizio lo sguardo è attirato dalla poderosa sfilata di rocce a specchio che chiude il piano verso monte: lisce pareti nere, allineate, piane e molto inclinate, che s’infilano nell’erba. Anche qui, con una calamita, verifichiamo che si tratta di serpentiniti, ma in questo caso ci danno un’informazione in più. Quelle pareti sono lisce a seguito di una frattura con sprofondamento della massa rocciosa che vi era originariamente unita, uno scorrimento istantaneo e presumibilmente lungo quanto l’altezza delle pareti stesse. Così, dove prima vi era continuità della roccia si creò una depressione poi riempita di ciottoli e terra. Questa è l’origine del Plan de Tsère, ma la sua età è abbastanza incerta. Infatti la superficie a specchio sembra esposta agli agenti atmosferici solo da poco tempo (dopo la deglaciazione), ma il cedimento potrebbe essere avvenuto assai prima a debole profondità.

STOP 6 - LA ROCCIA TRITURATA

A metà salita si cammina su friabili rocce che si sfaldano in mille scagliette azzurrine. Siamo al tetto (all’estremità superiore) del gran corpo di rocce nere e magnetiche, Le serpentiniti, su cui abbiamo camminato finora. Il contatto e lo sfregamento con le altre rocce che vedremo più sopra rende scistose e laminate le nostre serpentiniti.

Si prosegue sino al colletto, lasciando sulla destra la deviazione per il Palon di Tsère e il bivacco Città di Mariano, per arrivare al culmine dell’itinerario geologico. Soffermiamoci nel punto più elevato, indicato con un ometto, in vista dell’alpe Varda e al bordo di un solco che il sentiero discende e risale.

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Il sentiero TMR (Tour du Mont Rose) percorre tutto il pianoro fino ad attraversare il torrente passando davanti agli specchi neri e prende a salire la dorsale che delimita il vallone di Tsère. A metà salita ci si trova a camminare su una fascia di rocce azzurrine completamente sbriciolate. Fatta qualche prova con la lente e la calamita, riconosciamo a stento le serpentiniti di Tsère: le poverine verso l’alto vengono laminate (“stropicciate”) dalle metabasiti che nella crosta oceanica stanno al livello immediatamente superiore. Non vediamo ancora affiorare le metabasiti, nascoste da un intermezzo detritico, ma ne possiamo già riconoscere alcune fra i massi sparsi nell’erba. A queste rocce la calamita non si attacca.

STOP 7 - I CRISTALLI DEGLI ABISSI

Proprio sulla dorsalina erbosa affiorano rocce listate con piccoli cristalli verdi, rossi e bianchi: sono gli assemblaggi delle Alte pressioni, cioè delle grandi profondità sotto terra, che svelano come sono nate le Alpi. Siamo sempre nel fondo oceanico, ma ad un livello superiore rispetto alle serpentiniti di Tsère.

Appena a fianco delle rocce listate, scorre un regolare solco roccioso lungo il vallone.

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I fondi oceanici sono, e sono sempre stati, molto attivi geologicamente: le placche vi si muovono veloci, i magmi si intrudono abbondanti nella crosta oceanica o eruttano sul fondo del mare. Dall’Alpe Varda in poi le nostre rocce riproducono nella loro globalità la composizione chimica di quei magmi oceanici: silicati di ferro e magnesio, con una parte di altri silicati più sensibili al calore (di calcio, sodio, alluminio). Ma c’è un problema: i minerali non sono più gli stessi. Tra il fondo oceanico (150 milioni di anni fa) e le montagne attuali i magmi sono passati per uno sprofondamento spettacolare (45 milioni di anni fa) della loro placca oceanica, che ha fatto collassare i minerali basaltici originari trasformandoli in minerali di alta pressione. Per il restringimento dello spazio fra i continenti, la placca oceanica è infatti passata in subduzione sotto alla placca continentale africana, trovandosi quindi a profondità (pressioni) insostenibili per i minerali magmatici originari. Tutto ciò che troviamo adesso in superficie reca le tracce di questo passaggio in profondità. Per questo le nostre rocce non si chiamano basalti o gabbri (rocce magmatiche) ma metabasiti (rocce metamorfiche).
Le metabasiti che troviamo in questo livello intermedio sono per lo più rugginose e poco leggibili. Solo in alcuni punti, ad esempio sul colmo della dorsalina erbosa di fronte all’Alpe Varda, lo spacco fresco lascia intravedere piccoli cristallini verdi (onfacite), rossi (granato) e bianchi (zoisite?) provenienti direttamente dalle viscere della Terra (si formano solo oltre 60 km di profondità).

STOP 8 - LE MONTAGNE SI MUOVONO ANCORA

I due bordi del solco erano uniti e si sono staccati per lo stiracchiamento” del terreno a causa dell’innalzamento recente del Monte Rosa. La torbiera e il vallone tutto derivano da questi movimenti che possono essere datati a partire da circa 35 milioni di anni fa.

Si attraversa verso sinistra e si raggiunge il sentiero principale del Vallone delle Cime Bianche, al bivio che ritroveremo nella discesa, si prosegue in piano a destra per un centinaio di metri per raggiungere i ruderi del fabbricato di Varda, (probabile magazzino per gli itinerari commerciali che percorrevano il vallone delle Cime Bianche verso la Svizzera). Di fronte a noi emergono sorprendenti le tre Cime Bianche (Gran Sometta, Bec Carré e Pointe Sud) e appare ben visibile la fascia bianca che percorre le pareti ad ovest (dal Grand Tournalin alla Roisetta).

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Un solco rettilineo, a pareti verticali, percorre il versante mettendo a nudo la roccia. Costantemente largo quasi una decina di metri, profondo un po’ meno, scende di sbieco lungo il Palon di Tsère, entra e poi esce dalla torbiera dell’Alpe Varda. Lo attraversiamo sul sentiero con una discesina e una piccola risalita prima di immetterci a sinistra nel gran sentiero n. 6 dell’Aventine. Si tratta di uno strappo profondo del terreno, con frattura e dislocazione della massa rocciosa, che rivela la tensione cui è stato sottoposto il vallone delle Cime Bianche in seguito agli ultimi movimenti orogenetici. Si può dire infatti che l’intero vallone, nelle sue suddivisioni di Tsère, Aventine e Courtod, è frutto dello stiramento crostale dovuto al sollevamento del contiguo Monte Rosa. Osserviamo bene questi ed altri indizi di attività profonda: ci sembra utile per l’umanità capire cosa sta facendo il nostro Pianeta, e ciò lo vediamo sulle nostre montagne.

STOP 9 - LE SPIAGGE DEI DINOSAURI

Il ripido versante destro del vallone è tagliato a mezza costa da una fascia bianca: sono le antiche lagune salate e le spiagge che guardavano l’oceano che si formava. Sopra stanno mucchi di sedimenti fangosi dell’antico oceano (tournalin, roisetta).

Dopo una pausa per godere dello straordinario paesaggio, inizia la discesa. Ritornati al bivio precedente, si cambia percorso scendendo per ampi pascoli. Qui notiamo alcuni massi erratici e, sulla sinistra, i segni di un antico rù (rivo irriguo). Appena prima di attraversare il piccolo ruscello proveniente dalla grande torbiera di Varda, fra le metabasiti, qua e là affiorano rocce più friabili che fanno piccole isole di suolo polveroso. Sono “spruzzi” di antichi fanghi oceanici.

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Fatta una puntatina andata/ritorno ai ruderi dell’Alpe Varda, ci rivolgiamo alla grande parete destra (ovest) del vallone, spettacolarmente tagliata a mezza costa dalla fascia chiara delle Cime Bianche.
In realtà la fascia bianca ha poco a che fare con il nostro antico oceano. Essa rappresenta le lagune che, sulle immense spiagge del supercontinente Pangea (250 milioni di anni fa), precedettero l’apertura dell’oceano, con le loro sabbie, i loro sali da evaporazione, le loro barriere coralline. Epoca e contesto sono gli stessi delle Dolomiti; ma qui poi tutto è stato sbriciolato e maciullato durante l’orogenesi alpina, per cui non si trovano fossili.
La fascia bianca separa anche il livello intermedio della crosta oceanica, su cui siamo attualmente, dal livello superiore affiorante in alto. Al di sopra della fascia bianca infatti troviamo una falda per lo più composta di calcescisti, rocce derivanti da sedimenti fangosi e calcarei di alto mare. Di calcescisti, con qualche incluso di metabasiti e ancor meno serpentiniti, sono fatti il Tournalin e la Roisetta che ci sovrastano.

STOP 10 - BRILLANO GLI ANTICHI FANGHI DELL’OCEANO

A fianco del tratto di sentiero polveroso, alcune pietre sui lati mostrano cristallini scuri in rilievo come una grattugia. 150 milioni di anni fa uno spruzzo di fango oceanico (argilla, calcare) si è insinuato fra le colate di magma basaltico, poi è sprofondato in subduzione come tutto il resto della placca oceanica. Ne è uscito con mica ferrifera di alta pressione che brilla sul sentiero, e con granati a volte limpidi che occhieggiano sui sassi.

Scendiamo poi ripidi tornanti fino all’alpe Ventina. Superati i ruderi degli alpeggi e affrontata una nuova discesa, si raggiunge un piccolo pianoro, dove si scorge sulla destra una postazione meteo. A questo punto il nostro percorso devia decisamente verso destra, costeggia l’Alpe Djomein e raggiunge il vallone del Courtod, attraversando il ponticello sull’omonimo torrente e proseguendo in piano sino a raggiungere il sentiero che scende nel vallone. Il sentiero, posto nella destra orografica, attraversa un ripido pendio boscoso e passa sullo spiazzo di un’antica carbonaia.

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Sulla costa sassosa che scende all’Alpe Ventina il sentiero si fa d’un tratto polveroso e luccicante, mentre alcune pietre sui lati mostrano cristallini scuri in rilievo come una grattugia. 150 milioni di anni fa uno spruzzo di fango oceanico (argilla, calcare) si è insinuato fra le colate di magma basaltico, poi è sprofondato in subduzione come tutto il resto della placca oceanica. Ne è uscito con mica ferrifera di alta pressione che brilla sul sentiero, e con granati a volte limpidi che occhieggiano sui sassi.

STOP 11 - I CARBONI SPENTI SOTTO I PIEDI

Verso la fine del tratto pianeggiante e Sovente fangoso del sentiero che scende Dall’alpe courtod si cammina su uno slargo Il cui fondo è costituito dai residui di carbone Di legna ancor ben riconoscibili dalla Pezzatura e dal colore nero.

Un piccolo tratto e, nel punto in cui il sentiero riprende a scendere, si raggiunge la zona della fornace (un po’ prima si vedono pezzi della bianca roccia calcarea che veniva usata per ottenere la calce).

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Fra i prodotti del bosco, uno dei più ricercati, soprattutto a partire dal XVII secolo, era il carbone di legna, usato prevalentemente nella metallurgia. Si produceva in piazzole appositamente attrezzate nei boschi, mediante accumuli conici di legname opportunamente disposto in modo da trasformare, mediante il calore di un fuoco senza fiamma, la legna in carbone. L’operazione necessitava circa due settimane di cottura, e altrettante di preparazione e raffreddamento, durante le quali i carbonai lavoravano in coppia, per poter sempre intervenire in caso il fuoco divampasse distruggendo la carbonaia. Tra metà Seicento e fine Ottocento numerose disposizioni delle Comunità locali, del Conseil des Commis e della Corte sabauda cercarono di regolamentare la produzione del carbone vegetale per preservare i boschi ritenuti indispensabili (alimentazione e protezione del suolo) e, d’altra parte, per venire incontro agli interessi della produzione (proprietari dei boschi, industriali metallurgici e loro clienti, tra cui l’Arsenale sabaudo).

STOP 12 - LA PIETRA COTTA

Un pannello illustra le modalità di funzionamento della fornace per ricavare la calce dalla cottura dei blocchi di calcare presenti in abbondanza in zona. Lo spuntone roccioso che si erge in alto in direzione della fornace, sotto il Monte Croce (o brun), si chiama Mont de la Tchas (calce).

Il sentiero adesso scende sulla destra, attraversa una bella radura per poi deviare decisamente a sinistra in una conca erbosa (palina segnaletica), si immerge nel bosco fino quasi a costeggiare il torrente. Nel punto in cui il sentiero si avvicina di più alla riva del torrente, appena prima delle pareti rocciose, chiodate per l’arrampicata, sulla destra verso il pendio si scorge un affioramento di serpentinite a livello del terreno (ometto nei pressi).

STOP 12 | SCOPRI DI PIU'

La riva boscata accanto al torrente su cui camminiamo è costituita da detrito in blocchi, in genere di piccola taglia, caduti dalla parete sovrastante e in particolare dalle parti più elevate: calcescisti e fascia bianca. Questa disponibilità di materiale calcareo, unitamente al legname del bosco, deve aver suggerito l’installazione di un forno da calce, ora degnamente illustrato da un grande pannello posto sul sentiero.

STOP 13 - LA PENTOLA GLACIALE

La marmitta è del tipo cilindrico stretto, profondo e ad asse verticale. Enigmatiche restano queste forme di erosione, che necessitano di energie relativamente elevate (non certo il sassolino che gira tranquillo sul fondo…) e tempi relativamente brevi di realizzazione. Viene naturale riferirne la genesi all’ambiente glaciale, supponendo pozzi sotto pressione nello spessore della massa di ghiaccio sovrastante. Ma i modelli ipotizzati finora non sembrano granché soddisfacenti…

Con un ultimo piccolo tratto in discesa si raggiunge la strada poderale che conduce nel Vallone di Nana, fino a incontrare poco dopo la strada asfaltata. Si passa a fianco di un atelier di falegnameria e si prosegue fino ad un bivio posto appena prima del ponte sull’Evançon (che proprio in questo punto prende il suo corso, frutto dell’unione in un breve tratto dei torrenti di Verra, di Tsère e Courtod). Seguendo la strada di destra che conduce alle case di Pelioz, da queste per bella mulattiera si raggiunge in pochi minuti la strada affrontata in salita e la piazzetta di Saint-Jacques dove termina la nostra escursione geologica.

STOP 13 | SCOPRI DI PIU'

Ridivenuto sentiero l’8E, si scende fino alla quota 1800 m accanto ad enormi massi (metabasiti) crollati in una zona umida e scoscesa, quasi una forra. Sulla nostra destra, assai discreta, affiora una serpentinite fra erbe, muschi ed arbusti. La superficie rocciosa, liscia e umida, è inclinata parallelamente al pendio con un’ampia canaletta a grondaia. In alto, la canaletta esce da una cavità cilindrica verticale larga circa 40 centimetri e profonda almeno mezzo metro sul lato dello sfioramento, e oltre un metro sul lato a monte. Poco detrito giace sul fondo, e la cosa è intrigante: come mai un buco fra l’erba non si riempie di terra?
Enigmatiche restano queste forme di erosione, che necessitano di energie relativamente elevate (non certo il sassolino che gira tranquillo sul fondo…) e tempi relativamente brevi di realizzazione. Viene naturale riferirne la genesi all’ambiente glaciale, supponendo pozzi sotto pressione nello spessore della massa di ghiaccio sovrastante. Ma i modelli ipotizzati finora sembrano piuttosto improbabili…